Cameri e il (triplo) prezzo della libertà

Questa settimana si svolge la festa patronale di Cameri e così vi ripropongo una storia che forse qualcuno ha già letto ma che calza a pennello data l’occasione.
Racconta di come il “fiero popolo camerese” si adoperò per mantenere la propria libertà.

C’era una volta un piccolo borgo di contadini, in mezzo ai boschi, agli acquitrini e ai campi.
Spesso a quel borgo, come a tanti altri borghi simili, capitava di essere comprato e venduto, ceduto e regalato, come una qualsiasi merce in un qualsiasi mercato.
Alla gente del posto però la cosa non piaceva e venne un giorno in cui decise di porre fine a quella situazione sgradita.

Quel paese era Cameri che per ben tre volte pagò per la propria libertà.

La prima volta accadde quando Francesco Maria Sforza, prima di morire, cedette il feudo di Cameri a un tale di nome Michelino Piscatore di Novara. I cameresi fecero ricorso a Galeazzo Maria Sforza e versarono la quota per tornare liberi.

La seconda volta la fu versata non molto tempo dopo, nel 1547. Ottavio, il figlio di Carlo V che nel mentre era diventato regnante, promulgò un “diploma” che garantiva ai cameresi che il borgo non sarebbe più stato venduto, a patto che pagassero di 100 scudi d’oro. Loro pagarono, ma le cose andarono poi diversamente e il borgo di Cameri venne venduto con altri titoli nobiliari per sanare certe finanze.

La terza volta fu nel Seicento, nel 1647 per l’esattezza.
Il paese era stato ceduto a Daniele De Capitaneis per 5.546 lire imperali. Il popolo chiese al Senato di poter ricomprare la propria libertà entro due settimane. Vennero fatte delle controproposte decisamente sfavorevoli e alla fine i cameresi riuscirono a riconquistare la libertà pagando subito l’intero riscatto con interessi: 8.320 lire imperiali con l’aggiunta di rate aggiuntive periodiche.

Dove trovarono il denaro non lo so, però onore al merito e complimenti per la tenacia.

Rielaborazione propria da: La Nuova Rusgia, settembre 2011- articolo di Alice Romita

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