Un canto (fuori) dalla prigione

Forse non tutti sanno che il poeta Dino Campana venne tenuto prigioniero nel castello di Novara, ai tempi in cui l’antico maniero era ancora un carcere.
Pare che genio, follia e sregolatezza gli appartenessero e che Campana fosse solito vagabondare qua e là per le città, dentro e fuori dai manicomi. Nel settembre 1917 venne fermato -senza documenti- dalle autorità novaresi che lo arrestarono per vagabondaggio.
Dalla prigione inviò un telegramma alla sua amata Sibilla Aleramo (la loro storia d’amore era decisamente tormentata) avvisandola dell’arresto. Fu proprio a Novara che i due si videro l’ultima volta.
Il poeta, ritrovata la libertà, scrisse una poesia intitolata “La dolce Lombardia coi suoi giardini” e lì raccontò di ciò che vedeva a Novara: la Cupola di San Gaudenzio, che descrisse come “pantheon aereo” dagli archi dorici di marmo; i baluardi affacciati su un orizzonte sconfinati; il bel panorama del Monte Rosa.

Per l’esattezza scrisse

Il Monte Rosa
è un grande macigno;
ci corrono le vette a destra e a sinistra,
all’infinito, come negli occhi del prigioniero.
È grigio il cielo,
laggiù si stendono al piano, infinitamente,
i pennacchi tremuli delle betulle,
come un tabernacolo gotico.
Il cielo è pieno di picchi bianchi che corrono,
ma la torre di San Gaudenzio
instaura un pantheon aereo
di archi dorici di marmo.
Sugli spalti una solitaria
cerca l’amore.
L’aspro vino mi ha riconfortato
e dal baluardo un azzurro
sconfinato
posa sulle betulle,
pantheon aereo di colonne,
sopra un giardino di Lombardia.
Settembre solare denso,
dove le betulle emergono nel piano.
Lontano, il macigno bianco”.

Credo il passaggio sia incompleto. Qualcuno ci aiuta a completarlo?

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