“La bella gente” è un film che si interroga sui limiti dell’accoglienza. Tema quanto mai d’attualità in quest’era di migrazioni bibliche dove la teoria si confronta e si scontra con la pratica del vivere quotidiano. Tutto va bene… purché nel giardino del vicino.

Alfredo è un architetto. Susanna una psicologa che si occupa di donne che hanno subito maltrattamenti. Cinquantenni ,dall’aria giovanile, dalla battuta pronta e lo sguardo intelligente si conoscono da quando all’università manifestavano contro la discriminazione. Vivono a Roma ma trascorrono i fine settimana e parte dell’estate nella casa di campagna all’interno della loro tenuta privata. Un giorno Susanna, andando in paese, resta colpita nel vedere Nadja, una ragazza ucraina di diciassette anni costretta a prostituirsi, umiliata e picchiata da un uomo sulla stradina che porta alla statale.
Susanna non esita ad accogliere la ragazza in casa sua, intenzionata a salvarla. Salvarla per salvare i propri ideali.
Ma una ragazza straniera che fa la puttana, può diventare altro? Può migliorare la sua condizione? E una famiglia vissuta sempre nell’agiatezza, con dei solidi riferimenti intellettuali, può rischiare di mettere a repentaglio tutto ciò che ha avuto in eredità e tutto ciò che ha costruito per rispettare le proprie convinzioni? Forse.
Ma, quando gli eventi precipitano e la presenza di Nadia disturba gli equilibri familiari, la distanza tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere diventa più grande di quanto si possa immaginare.