A proposito del riso

Riflessi d’acqua, distese verdi, mari dorati: sono le risaie nel corso delle stagioni. Anche per chi è nato qui, sono uno spettacolo che riesce sempre a sorprendere.
Le origini del riso non sono certe, si ritiene che le varietà più antiche siano comparse oltre quindicimila anni fa lungo le pendici dell’Himalaya. L’unica cosa che sappiamo per certo è che è nato in Asia, precisamente in Cina verso il VI millennio a.C.

Intorno al riso e al risotto sono nate tante leggende.
Ve ne raccontiamo qualcuna.

Retna e il dio Shiva
In India viveva una ragazza bellissima. Il suo nome era Retna. Il Dio Shiva se ne innamorò e la chiese in moglie. Retna chiese al Dio un dono di nozze, un cibo in grado di sfamare tutto il suo popolo e capace di non venire mai a noia. Shiva accetto ma dimenticò la sua promessa. Retna, delusa, rifiutava le nozze e allora Shiva la prese con la forza. Disonorata e ingannata, la ragazza si gettò nel Gange, il fiume sacro. La sua anima si trasformò in una pianta dai chicchi bianco-dorati, il riso, capace di sfamare gli indiani.

Il Genio Buono dei cinesi

In Cina viveva un Genio Buono che si prendeva cura del popolo. Nel corso di una grande carestia però, non riusciva a trovare una soluzione per sfamare tutta la gente. Disperato, si strappò i denti e li gettò al vento. Sapete perché?
I denti si trasformarono nei semi del riso. Nacquero migliaia di piantine che produssero tanto riso da sfamare l’intero popolo.

Qualcosa a proposito del risotto allo zafferano

Molte sono le storie sulla nascita del risotto alla milanese.
Secondo molte fonti nella cucina kosher medievale era presente una ricetta di riso con zafferano, prima antenata del piatto milanese portata dalla Sicilia fino al nord Italia dai mercanti e viaggiatori ebrei ed arabi. Il riso tinto d’ocra è tradizionale siciliano. Secondo una leggenda “la serva di una famiglia palermitana trasferitasi a Milano provò a cucinare un arancino, ma non riuscì a dargli forma e ne nacque, così, il risotto giallo”.
Si racconta, poi, del celebre mastro vetraio belga Valerio di Fiandra che nel 1574 lavorava alle vetrate del Duomo di Milano. Aveva un assiste soprannominato Zafferano che usava mescolare un po’ di zafferano nelle sue miscele di colori per renderli più vivaci. Mastro Valerio lo prendeva in giro per questa sua mania dicendo che prima o poi avrebbe messo lo zafferano anche nel cibo.
Quando, in settembre la figlia di Valerio si sposò fu preparato un sontuoso banchetto. Zafferano si mise d’accordo con il cuoco e fece aggiungere lo zafferano nel riso. I commensali furono sorpresi per la novità ma furono conquistati dal sapore ma anche dal colore giallo oro, sinonimo di ricchezza e allegria. Fu un successo strepitoso, il piatto divenne di moda in tutta Milano.

Per i novaresi doc ecco, in novarese, la ricetta della paniscia
Fonte www.circolodellapaniscia.com

La paniscia urmai la fa cùn ti sciücót e cùn gl’arbiòn, ma la vera paniscia l’è una tradission. L’è un passàg di nostra vec dà mia dismentegà: versa e fasö in abundansa, un po’ da prufum, carota e sèlar e sciugulun, par arumatisà, pòr cunt la cunsèrva. Fà buij, par fa un bon bröd, la cudiga e la panscèta fresca.
La fàseva in tal sètcènt anca el canonich Bazzetta. Fa frigc al cundì, dasi dasiòt, scigüla, lard, murtadela o salam d’la duja, büta al riss cal ciàpa un po’ culur un bicer da vin vèc e fal svapurà, denter a tò brött cunt la verdüra un po’ par volta fina a la cutüra e pö a la fin, cum al diseva “Barison” caciadùr, scritùr e buca buna: i nostar vèc i püdevan mia ma mi, un po’ da grana igh la fo mia mancà. E par finì sta ciciarada as critica mia l’altra versiòn basta sultant ch’la sia buna.

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