Enzo Mainini, l’entusiasmo della passione

“Al di là di tutti i motivi per cui un’artista come Alda Merini poteva attirarmi, lei mi colpì particolarmente perché aveva un po’ una somiglianza con mia madre. Forse questo è stato un fattore psicologico importante. La Merini fumava e anche mia madre fumava eccome. Insomma, il personaggio era quasi uguale e questa cosa mi ha preso tantissimo.”
Enzo Mainini, pittore autodidatta di trentennale esperienza e infinita simpatia, inizia così a parlarmi della sua prossima mostra. A momenti non ha neanche aperto bocca ma ha già raggiunto il vivo dell’argomento: la mostra-evento “Le finestre del silenzio”, realizzata e organizzata dal Mainini presso il Centro Culturale La Riseria, è una dedica alla compianta poetessa e aforista Alda Merini per il terzo anniversario della sua scomparsa.
“Nella mia mostra ci saranno alcune opere di Alda Merini, però vorrei impostare la manifestazione più sul personaggio. Ci saranno fotografie, video, alcuni miei quadri e aggiungeremo anche una installazione per ricordare innanzi tutto questa poetessa nel terzo anniversario dalla sua scomparsa. Ci tengo proprio personalmente.”

Questo è lo spirito autentico, profondo e appassionato della manifestazione: lo stesso spirito che l’autore vorrebbe far respirare agli avventori nelle sale che ospiteranno la sua esposizione. Ancor prima che l’opera di un pittore, questa mostra è infatti il tributo di un ammiratore alla sua musa ispiratrice.
Sto correndo troppo? Facciamo, allora, qualche passo indietro e andiamo a scoprire assieme come nasce l’Enzo Mainini pittore. Che ne dite, ce lo facciamo raccontare da lui?

“Ho iniziato a fare i miei primi disegni da appena sposato (mi sono sposato che avevo trent’anni). Il pittore Bonfantini, di Novara, era amico di mio suocero, che aveva una tabaccheria a San Martino. Fu proprio il Bonfantini, in quel periodo, a dirmi più volte ‘Puoi andare avanti, hai una buona mano’. Ho cominciato, così, a dipingere con continuità: era il 1981. Poco per volta mi sono iscritto a diversi club di pittura e ho fatto una mia piccola carriera. Ero un pittore figurativo autodidatta e non sono mai stato un professionista. Nel mentre lavoravo in ospedale, facendo quindi  tutt’altra cosa. Nel ’99, dopo una ventina d’anni, ho cominciato a vedere le cose sotto un altro aspetto.”
“Un altro aspetto”? E perché? Per caso, forse? Avrete sicuramente sentito dire che “il caso non esiste”, giusto? E infatti non è stato un caso neanche per il Mainini.

“Era la fine anni ’90.  Il Maurizio Costanzo Show aveva ospitato questa poetessa, già conosciuta magari nell’ambito della letteratura ma non in senso generale. Questa poetessa mi ha preso un po’ perché il signor Costanzo la intervistava, un po’ sarcastico nelle domande, e lei rispondeva a tono: Alda Merini era, infatti, un personaggio molto ironico e intelligente. Ho ascoltato le sue parole e ho percepito quel carisma che mi ha attratto fin da subito. Non ancora pensavo che le avrei dedicato una mostra, ma ho cominciato a interessarmi un po’, leggendo le sue poesie e la sua biografia, aprendo libretti un po’ dappertutto e prendendo dei cd in cui le sue poesie sono recitate, oltre che dalla poetessa stessa, anche dall’attrice Mariangela Melato.”
Nel cinema, e più precisamente nella sceneggiatura hollywoodiana classica, questo si chiama “primo punto di svolta”: accade qualcosa (la “scoperta” di Alda Merini) che catapulta l’eroe (Enzo Mainini) fuori dal suo mondo ordinario (la pittura figurativa), per aprirgli innanzi nuovi orizzonti da esplorare.

“Ho gradualmente lasciato la pittura figurativa per esprimermi in uno stile un po’ più particolare, con caratteristiche che esulano un po’ dalla pittura tradizionale e quindi non usando più olio o colori vari bensì prodotti industriali, sabbia, cemento, ceramica e anche qualche colore, ma molto poco. Questo perché mi calavo nel personaggio di Alda Merini e volevo rappresentare la sua figura, con tutti questi reticoli, queste chiusure e questi muri da dover trapassare. Attraverso la sua biografia sappiamo che fin da quando era giovane ha cominciato ad essere rapita dall’arte e dalla poesia. Lei è del ’31 e nel dopo guerra, tra il ’46 e il ’47, ha cominciato a frequentare artisti già affermati che cercavano di coinvolgerla, così lei abbandonava un po’ la famiglia, non voleva andare a scuola, il padre e la madre erano molto severi e… insomma, se si legge la biografia della Merini ci si fa prendere da questo personaggio che è, secondo me, estremamente interessante.”
Nasce una passione. Crescono nuove idee. Maturano nuovi progetti. Il Mainini me ne descrive uno in particolare e lo arricchisce con preziosissime nozioni biografiche, con una tale naturalezza e un trasporto così contagioso che sembra non abbia mai studiato altro in vita sua.

“Ho dipinto una serie di quadri intitolata ‘Le dimore’: le dimore proibite, quelle del manicomio, perché lei ha scritto una serie di bellissime poesie post-ricovero, ‘La terra santa’, in cui lei ricorda tutto il periodo in cui è stata ricoverata. Il suo primo marito era un panettiere: lui era un po’ rude e non pensava all’arte mentre lei, essendo una poetessa, gli voleva comunque bene (hanno avuto 4 figlie, tenute poi in adozione altrove perché la famiglia non andava bene) ma ci sono state delle grandi battaglie. E’ stato proprio lui a farla ricoverare. A quei tempi, nel ’63-’64, non c’era ancora la Legge Basaglia (venuta molto dopo, nel ’78) e c’era un trattamento molto duro. Lei non pensava di trovarsi in questa situazioni e lì è peggiorata molto. Ne è uscita dopo qualche anno e ha fatto dentro-e-fuori per 12 anni in tutto. Era una donna molto sensuale e aveva tanti amanti. Quando le è morto il marito ha sposato un altro signore, molto più vecchio di lei, anche lui un poeta non che un primario di ospedale e a cui lei ha dedicato moltissime poesie. Il secondo marito si ammalò poco dopo e lei venne ricoverata nell’ospedale psichiatrico di Taranto, che la poetessa stessa descrive come un ambiente molto più cruento rispetto all’ospedale milanese. Riuscì poi a tornare sui Navigli e a reintegrarsi un po’ nella società, anche se veniva bislaccata da tutti perché interpretata come una pazza. Lei continuava comunque a scrivere poesie per tutti: non voleva chissà che, voleva tirare fuori la sua giornata e basta.”
So a cosa state pensando. Non fate i vaghi, tanto lo so. Va bene, va bene, già che ci siamo glie lo chiedo io, a nome di tutti: ma lei la signora Merini l’ha mai incontrata?
“Fisicamente l’ho vista solo una volta. L’ho conosciuta a Galliate nel 2005. Presentava un libretto di poesie e purtroppo stava già male: è poi morta, infatti, per un tumore osseo. Eravamo in tantissimi. Ha letto qualche poesia e poi ha iniziato a firmare i libri che noi presenti volevamo acquistare. Quando sono andato la per farmi fare l’autografo, mi ha guardato per un istante e mi ha sorriso: mi ricorderò per sempre quello sguardo.”
Un sogno nel cassetto?
“Invitarla a una mia mostra.”

“Dipingo per essere libero, dipingo per comunicare”: poche piccole parole per riassumere una ricca e profonda filosofia di vita e di produzione artistica.
La semplicità, l’umiltà e l’entusiasmo di Enzo Mainini lo rendono infatti un artista, ma soprattutto un uomo, da seguire e ammirare in ogni sua iniziativa, vista la maniera così propositiva e totalizzante con cui tende a renderci parte del suo mondo, attraverso le sue opere ma non di meno con il suo contagioso buon umore e la sua inesauribile voglia di raccontare e raccontarsi.

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