Dino Damiani, cantore del legno

Michelangelo Buonarroti sosteneva che la forma fosse già nel marmo e che il compito dello scultore fosse “semplicemente” quello di rimuovere ciò che circondava la figura celandola al mondo.
In un certo senso chiacchierando al telefono con Dino Damiani questo discorso ritorna.

Dino Damiani è da sempre uno scultore, fin da quando da ragazzino andò “a bottega” da un artigiano mobiliere, nella sua Grignasco che del mobile valsesiano è un po’ la patria.
Oggi gira per l’Italia, mostra dopo concorso, a proporre le sue opere spesso in legno.

Mi dice che il legno dà proprio del filo da torcere. E’ pieno di nodi e crepe e imperfezioni che ti guidano nella lavorazione. Non puoi, con il legno, far ciò che vuoi: è la forma del legno che ti guida. Che tira fuori la posa morbida delle mani che lo hanno reso celebre o che sfila le figure affusolate ed eleganti di donne aggraziate che paiono fiammelle, di musicisti nel pieno dell’estasi dell’esecuzione o di acrobati e nuotatori leggeri e dai muscoli tesi.
Come una driade, dal legno esce una figura che è l’unione fra l’idea dello scultore e il carattere dell’albero che fu.

Sono 45 anni che scolpisco, mi dice, qualche volta vado nei boschi e scolpisco direttamente lì, mi porto a casa poi l’opera finita. In questo tempo ho capito che la scultura deve essere una passione, il lavoro dello scultore non deve essere legato al pensiero altrui, alla moda, alla richiesta “del mercato”. La gente a volte non capisce l’opera, magari è qualcosa di chiaro solo a chi la ha realizzata, ma è frutto della spontaneità, del sentire del momento e allora sì che dà soddisfazione! Sì che è una cosa che appartiene!

Una volta partecipò a un concorso e, attenendosi al tema e al proprio progetto originario, presentò la figura di un clochard. Un lavoro raffinato e di qualità, ma mancava quella goccia di fluido vitale che è la passione e l’opera non venne scelta.
Deluso dal concorso decise di reagire e di getto, rapidamente, spontaneamente, senza ragionarci troppo, buttò giù un bozzetto “di cuore” e vinse il concorso immediatamente successivo.
Carpe diem.
Cogli l’attimo dell’espressione.

Così, per catturare i frammenti del tempo che scorre, tutta la casa di Dino Damiani è un laboratorio: martellini e scalpelli, motoseghe e gru all’ombra delle pareti. Sì, avete capito bene. Motoseghe. E gru.
Se no come si fa a lavorare tronchi e blocchi di marmo?

E’ decisamente un lavoro fisicamente pesante, che riempie di polvere e schegge e che porta a essere un po’ vagabondi da una città all’altra seguendo l’agenda delle mostre, ma è anche un lavoro rilassante.
C’è molta gente che va da lui a imparare e a rilassarsi.
Una specie di psicanalisi dove si usano le mani invece delle parole, diciamo ridendo. Qualcuno di questi allievi ha conosciuto Dino Damiani come docente all’università della terza età di Arona, altri sono restati affascinati e incuriositi dopo aver visto le mostre. Altri chissà. Magari qualcun altro si unirà al gruppetto durante una delle molte mostre che Dino Damiani ha in programma quest’anno.

Rimango con l’immagine di una figura che emerge piano piano, colpo dopo botta, dopo levigatura, dopo carezza.
Non è, la scultura, una metafora della vita?

Nella foto Dino Damiani ad Asiago al 29° Concorso Internazionale di Scultura. Se volete vederne altre cliccate qui.

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